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Per essere dei veri cristiani, secondo il gesuita Bergoglio, bisogna accettare sino in fondo il “fallimento” di Gesù? |
Perché Bergoglio ama parlare del fallimento di Gesù?
C’è un concetto che Bergoglio, nella sua catechesi e nella sua omiletica, ama ripetere, e c’è una espressione sulla quale gli piace soffermarsi: il fallimento di Gesù. È un concetto conturbante ed è un’espressione che crea un forte disagio, un forte imbarazzo, un forte disorientamento nell’uditorio: i fedeli non sono affatto abituati a udire queste parole e non sentono come familiare un simile concetto. Al contrario. La Chiesa ha sempre insegnato che Gesù non ha fallito per niente la sua missione; che il suo Sacrificio ha redento l’umanità; che quanti, prendendo Gesù a modello, affrontano il suo stesso destino, ad esempio i martiri, riportano una vittoria clamorosa sul male e sul peccato, non certo un fallimento; e, inoltre, che “successo” e “fallimento” sono espressioni ingannevoli, se usate nel senso che attribuisce loro il mondo. Il cristiano ha un criterio di valutazione delle cose umane completamente diverso: ciò che per il mondo è follia, fallimento, sconfitta, per il cristiano può essere saggezza, vittoria e trionfo. Il Nuovo Testamento è pieno di simili parallelismi e di simili espressioni: usare perciò il vocabolo “fallimento” nel senso che gli dà il mondo, cioè giudicando in base alle apparenze, e farlo applicandolo alla Persona di Gesù Cristo, è qualcosa di totalmente inaccettabile. Chi lo fa, o non ha capito nulla del cristianesimo, oppure bara al gioco, e lo fa in piena coscienza.